La vita
Mario Micossi nacque il 13 settembre 1926 ad Artegna in provincia di Udine, figlio terzogenito, dopo Bruno e Silvana, di Emilio Micossi e di Ilde Menis. Da generazioni la sua famiglia gestiva un’impresa nel fiorente commercio di legnami. Strategica per questo la posizione della casa e dell’annessa segheria che con i suoi stabili, arrivava fino alla stazione ferroviaria del paese. Dopo un’infanzia serena, durante i difficili anni della II Guerra Mondiale fu temprato dalla convinta e precoce esperienza partigiana nella Brigata Osoppo e dalla conseguente cattura e prigionia in un campo di concentramento nazista nel salisburghese. Sopravvissuto grazie alle cure di un medico tedesco, colpito dalla sua intelligenza e dai mirabili disegni che riusciva a tratteggiare sui vetri appannati della baracca del campo, riuscì a fuggire in modo rocambolesco negli ultimi giorni della guerra e a tornare a casa ad Artegna. Stremato dalle privazioni patite, dimagrito 27 chili e provato dal faticoso viaggio a piedi dall’Austria, si ristabilì grazie alle amorevoli cure dei famigliari e alla forza dei suoi quasi diciannove anni, riprendendo le fila della sua giovane vita.
1947
Dopo gli studi al Liceo Scientifico “G. Bertoni” di Udine, nel 1947 decise di trasferirsi a Roma e trovò un impiego all’Ufficio Passaporti della Trans World Airlines, una delle maggiori compagnie aeree statunitensi, che deteneva il monopolio dei voli Italia -Stati Uniti e presso la quale, lavorava come hostess anche la sorella Silvana. Il lavoro alla TWA gli consentì di mantenersi nella capitale, assaporandone appieno le meraviglie, di frequentare i corsi dell’Accademia di Belle Arti di Roma, di viaggiare e di perfezionare la lingua inglese, i cui primi rudimenti aveva appreso dai soldati dell’Ottava Armata, nei giorni della liberazione. Spronato anche dagli stessi colleghi e dirigenti, impressionati dalle caricature che sapeva schizzare di getto nei momenti di pausa, Micossi scommise sul proprio talento artistico. Coraggiosamente lasciò l’impiego alla TWA per dedicarsi totalmente all’arte. Trascorreva l’intera giornata all’interno dei Musei romani e la notte riversava in disegni e graffiti tutte le intuizioni ispirate dai modelli classici, greci e latini e dai grandi maestri del Rinascimento.
1957
Tante erano le difficoltà pratiche che si trovava ad affrontare e quando, nel 1957 stava quasi per arrendersi e riprendere il lavoro alla TWA, decise di inviare una serie di disegni alla Redazione della prestigiosa rivista statunitense The New Yorker. Progetto ambizioso, visto l’elevato e rigoroso standard tecnico – artistico richiesto. Un paio di mesi più tardi ricevette dalla Redazione un assegno di 437 dollari e l’invito a spedire altri suoi lavori. Impiegò immediatamente la somma di quel primo assegno per pagarsi il volo diretto a New York, anticipando l’invito degli editori del The New Yorker che da subito gli accordarono fiducia, garantendogli un compenso minimo settimanale. Il passaggio dalla grazia armoniosa e classica di Roma alla bellezza spigolosa e nervosa di New York fu destabilizzante per Micossi, il quale inizialmente trovò la “Grande Mela” difficile da capire e quasi impossibile da disegnare. Solo dopo alcune settimane riuscì a entrare in sintonia con l’ambiente metropolitano che comprese e interpretò magistralmente. Iniziò così con il Settimanale una proficua collaborazione, mai interrotta per oltre quarant’anni, che lo portò a soggiornare ogni anno a New York almeno per un paio di mesi. Durante le sue permanenze newyorkesi, spesso gli veniva riservato uno spazio in una barchessa del Metropolitan, affinché potesse cogliere dal vivo e da vicino maestri, cantanti e strumentisti. Tina Brown, allora direttrice della Rivista, gli destinò un ufficio in Redazione. In seguito, oltre che per il The New Yorker, collaborò come illustratore anche con le riviste Saturday Review of Literature, The Reporter, The Christian Science Monitor e Gourmet.
1960
Nel 1960 a New York incontrò Emiliano Sorini, noto incisore e stampatore per importanti artisti, tra cui anche Manzù. Fu Lui ad avvicinarlo alla tecnica dell’incisione, che Micossi scoprì appassionarlo e, nella quale, divenne un indiscusso maestro.
1961 – ‘62
Mario Micossi parlava correttamente l’inglese e la perfetta padronanza della lingua gli consentì di tenere apprezzatissime conferenze su temi storico – artistici alla America – Italy Society di New York. Il 1° maggio del 1961 illustrò al pubblico americano l’arte e bellezze paesaggistiche del Sud Italia e il 28 marzo del 1962 parlò dell’arte e della storia delle popolazioni giunte nel Nord Italia dopo la caduta dell’Impero Romano. Ai soggiorni newyorkesi Micossi affiancò viaggi in tutto il mondo, percorsi studiati e preparati minuziosamente, che rifuggivano gli itinerari turistici, puntando invece alla scoperta dei tratti autentici dei luoghi, sia dal punto di vista naturalistico che architettonico, fino a spingersi a una disamina storico – sociologica. Come testimonianza di queste esperienze, oltre alle opere, spesso schizzate “en plein air”, Micossi aveva l’abitudine di scrivere sintetici diari di viaggio, di scorrevole e godibile lettura, impreziositi da argute osservazioni e da battute salaci. Artegna, suo paese natale, rappresentò sempre il baricentro della sua vita, da lì partiva e lì ritornava per “rigenerarsi” e per programmare nuove esperienze, circondato dal calore degli amici, e dei famigliari, soprattutto della madre, a cui era legatissimo.
1976
Il violento terremoto che sconvolse il Friuli nel 1976, colpì pesantemente anche Artegna, e la sua casa fu quasi totalmente distrutta. Per oltre dieci anni si dedicò senza tregua alla sua ricostruzione, ripristinando fedelmente e filologicamente ogni elemento architettonico della dimora di famiglia. L’edificio si apre a ferro di cavallo su un’aia ombreggiata da un pergolato di antico vitigno ed è tutto un rincorrersi di ballatoi in legno e sapienti equilibri di pietra e di sasso. All’interno, restaurò l’amato “fogolâr”, con gli alari in ferro battuto e le alte sedie impagliate, cuore caldo e vibrante della casa, che fu per lui anche studio e laboratorio, dove lo spazio dedicato all’incisione è inondato di luce e dominato dal grande torchio con cui stampava. Il dolore provato in prima persona per le devastazioni del sisma, lo spinsero, nell’agosto del ’76, a illustrare ai lettori americani del The New Yorker, il senso della friulanità e l’entità dei danni causati dal terremoto. Questo contribuì certamente a favorire la solidarietà di alcuni artisti americani, tra i quali anche DeKoonig e Lichtenstein, i quali donarono loro opere al Friuli. In questi stessi anni, l’intero ricavato di alcune sue esposizioni venne destinato alla ricostruzione del Friuli. Alla comunità di Artegna donò i bozzetti preparatori per la realizzazione di un grande graffito destinato a decorare la facciata del “Nuovo Teatro Monsignor Lavaroni”, la cui esecuzione avvenne solo dopo la sua morte, nel novembre 2013.
1986
Nel 1986 aprì al pubblico la sua casa – studio, pazientemente ricostruita e tornata all’antico splendore, con una interessante esposizione. Ne seguirono altre negli anni, intervallate alle mostre con cui, in Italia e all’estero presentava i suoi cicli pittorici. La dedizione di Micossi all’arte si intrecciò sempre con l’interesse per la storia e la letteratura, come dimostra la sua fornita biblioteca, che consta di oltre tremila volumi. Non meno completala collezione di dischi di musica classica che prediligeva ascoltare.
2005
Amava molto le montagne, le Alpi Giulie e le Dolomiti in particolare, prima ancora delle vette himalayane. Ritagliandosi il tempo per la doverosa preparazione, prima di ogni scalata da vero cultore, soleva ripetere che la bellezza della montagna esige rispetto, sentire condiviso con gli amici, membri dei CAI d’Italia e d’Austria, con cui collaborava. Immerso in così tanti e variegati interessi, coltivati con passione e impegnato in molteplici progetti artistici, Mario Micossi mancò improvvisamente a Gemona del Friuli, il 17 settembre 2005 all’età di 79 anni. Sue opere si trovano nelle collezioni dell’Albertina a Vienna, del Fogg Museum all’Università di Harvard, del Boston Museum of Fine Arts, dello Stockholm National Museum, della Stuttgart Staats Galerie, del Worcester Museum of Art, del Chicago Art Institute, della City Library in New York, del Philadelphia Museum of Art, della Yale University, del Brooklyn Museum, del Montreal Museum of Fine Arts, del Museo d’Arte Moderna e Contemporanea di Udine e in numerose collezioni private in Italia e all’estero.